Foreigners everywhere – I Padiglioni nazionali

Polonia: Repeat after Me, i Leoni d’oro

Se esistesse un premio del pubblico al padiglione più emozionante, andrebbe al padiglione della Polonia Repeat after Me II, curato da Marta Cyz e Open Group, ma i leoni d’oro attribuiti dalla giuria composta da Julia Bryan-Wilson (America), Alia Swastika (Indonesia), Chika Okeke-Agulu (Nigeria), Elena Crippa (Italia), María Inés Rodríguez (Francia-Colombia), non riflettono le reazioni dei visitatori della Biennale, ma scelte personali, quindi il Leone d’oro al miglior padiglione nazionale è andato a quello australiano.

Il Leone d’oro come miglior opera è andato invece al collettivo maori Mataaho Collective che con Takapau apre il percorso dell’arsenale, mentre Anna Maria Mariolino, una dei due leoni d’oro alla carriera, il cui premio è dato dal curatore Adriano Pedrosa, è poco strategicamente esposta nel giardino delle Vergini, all’esterno dello spazio dell’Arsenale, dove pochi visitatori arrivano, ed è un peccato, perché si tratta di una delle poche installazioni site-specific della Biennale.

Quindi idealmente, un leone d’oro apre l’itinerario dell’Arsenale e uno chiude l’esposizione.

Padiglione d’Israele

Il Padiglione dell’Australia: Kith and kin

Il padiglione dell’ Australia Kith and kin di Archie Moore è dedicato agli aborigeni e alla loro discriminazione, complessi discorsi e interrogazioni dell’artista si intrecciano alla sua ( e nostra) genealogia, assieme a effetti di luce e ombre, il colore è nero, bianco, grigio, i materiali che dominano sono l’acqua, la pittura e il semplice gesso bianco sul muro che disegna l’albero genealogico dell’artista e di tutti noi, il cartongesso oltre al metallo.

La colonna sonora della guerra

Esiste una colonna sonora della guerra? Non sapremmo e dirlo e non ci era nemmeno venuto in mente che potesse esistere fino ad oggi. Questa colonna sonora si può sentire, ci dicono i curatori del padiglione della Polonia, si può ascoltare e e si può ripetere. Si possono ripetere i suoni onomatopeici degli strumenti di morte e ce lo possono insegnare coloro che questi suoni li hanno vissuti in questi anni di guerra in Ucraina. C’è il rumore dell’aereo, quello del mortaio, dell’ elicottero, c’è il rumore che fanno le bombe quando esplodono e il sibilare dei missili. La morte e la distruzione possono arrivare con una varietà di forme inaspettata.

All’interno del padiglione polacco, Repeat after Me II, i visitatori sono inchiodati allo schermo a guardare i rifugiati ucraini che si susseguono nei video e raccontano come le loro famiglie, case, amici, vite siano state distrutte da questi suoni. Una mamma seduta vicina a me cerca di far credere alla sua bambina, visibilmente spaventata, che si tratta di un gioco e un’americana dice:”dovremmo ripetere tutti”. Non c’è nessun pietismo nel racconto, non ci sono scene drammatiche, non c’è retorica, ci siamo solo noi e loro sullo schermo, i loro rumori e il nostro silenzio. I microfoni che vedete in sala funzionano veramente e il visitatore può interagire con l’installazione.

Repeat after Me II

La geografia della Biennale

La Biennale disegna un’antica geografia fisica e politica e per questo viene spesso criticata, e la critica è sempre la stessa ogni anno, se abbia ancor senso una mostra divisa per nazioni. Evidentemente se i visitatori crescono in maniera esponenziale, assieme ai paesi che chiedono di partecipare, questo tipo di esposizione funziona ancora, non è detto che possa funzionare ovunque, ma Venezia è un mondo a parte e non bisogna mai dimenticarlo.

In tempi recenti, dopo il 1968, quando gli artisti giravano i quadri per contestare, dopo le proteste del 1977, e la guerra dei Balcani,(l’edizione della Biennale del 1997 fu vinta da Marina Abramovic con Balcan Baroque), la Biennale è stata quasi sempre un’isola felice dove l’attualità politica penetrava in minima parte (qui trovate qualche riga di storia) . Poi c’è stato il covid e una lunga pausa. Quest’anno, però, guardando i padiglioni ci siamo accorti che questa geografia era un po’ cambiata: il Padiglione della Russia, che non espone più da anni è aperto, ma prestato alla Bolivia, Israele è chiuso e guardato a vista dai militari.

Inoltre hanno pure tagliato tutti i meravigliosi e maestosi alberi del viale e questi piccolini appena piantati non faranno nemmeno un pò di ombra ai visitatori questa estate.

Fiorella Pagotto

https://www.veniceartguide.it

Venezia, maggio 2024

Padiglione della Bolivia