Venezia e le rotte d’oriente

Venezia e le Grandi Navi, un tema sempre attuale. Oggi alcune di queste “Grandi Navi” sono dei colossali condomini da crociera che scaricano con regolarità migliaia di turisti per una mezza giornata mordi e fuggi fra Piazza San Marco e le calli. Ma se per gioco provassimo a mettere indietro l’orologio di un secolo cosa vedremmo sfilare sulle acque in prossimità della Giudecca?

La Prima Guerra Mondiale è finita da tre anni, l’Impero austro-ungarico è scomparso ed il porto di Trieste, unico sbocco l’impero sul Mediterraneo, è entrato in crisi. In seguito all’annessione all’Italia del 1920, l’importanza della città giuliana risulta alquanto ridimensionata: Trieste si trova ad essere città di confine con un hinterland molto più limitato che in passato. Il suo porto ha perso il potenziale bacino di utenza che ne aveva determinato lo sviluppo e che era costituito dall’intero Impero austro-ungarico, ormai dissolto definitivamente.

Le redditizie linee per l’Egitto, l’India e l’Estremo Oriente si spostano a Venezia. Se oggi queste rotte di navigazione dicono poco o nulla, negli anni ’20 del XX secolo erano prestigiose quanto, e forse più, delle rotte atlantiche verso New York o i porti del Sud America. Una ricca e cosmopolita clientela internazionale, fatta di diplomatici, uomini d’affari, alti funzionari dell’Impero Inglese, archeologi e studiosi, maharaja e dignitari asiatici, nobili ed ereditiere in cerca di avventure esotiche, si muoveva fra l’Europa, il Levante e l’Estremo Oriente. Nessun emigrante viaggiava verso questi lidi con la classica valigia di cartone, al massimo qualcuno vi si trasferiva per un tempo indefinito con cataste di valigie, bauli, domestici ed automobile al seguito.

Improvvisamente i moli di Venezia, e la città stessa, si animarono. Lussuosi treni “wagon-lits” in arrivo dalle principali capitali europee scaricavano una variopinta moltitudine di eleganti e ricchi passeggeri, tutti in attesa di imbarcarsi per Alessandria d’Egitto, Beirut, Istanbul, Bombay, Hong Kong e Shanghai. Le navi non erano certo paragonabili per dimensioni a quelle odierne: dimenticatevi per tanto i condomini galleggianti e immaginate piuttosto qualcosa di simile agli attuali yacht di lusso. Oltre la metà dei passeggeri viaggiava in prima classe, mentre la seconda e la terza erano ridotte al minimo indispensabile. La Sitmar (Società Italiana Marittima) prima ed il Lloyd Triestino poi furono le due società di navigazione protagoniste di un epoca irripetibile.

Fra le tante navi che facevano la spola fra il Mediterraneo ed i porti dell’Oriente tre meritano di esser citate.

l’Esperia (1921), arredata in stile Luigi XV e Regency, con il salone da pranzo sormontato da una cupola in vetri a mosaico e ferro battuto, i telefoni e la ventilazione forzata in cabina ed i bagni rivestiti di maioliche dipinte a mano.

Esperia

L’Ausonia (1928), arredata dallo Studio Ducrot in un eclettico stile che mescolava il moresco all’arabeggiante, con le cabine di lusso affiancate da confortevoli alloggi destinati ai domestici privati.

La Victoria (1931), ancora oggi considerata una fra le più belle navi al mondo, dove debutta lo stile Razionalista, l’aria condizionata ed una piacevolissima piscina all’aperto con lido e veranda. Gli arredi disegnati da Gustavo Pulitzer Finali e Gio Ponti fecero scalpore per la modernità e la raffinatezza, ed erano il contorno perfetto per le numerose opere d’arte create da alcuni dei migliori artisti italiani del tempo: Lucio Fontana, Gino Severini, Massimo Campigli, Libero Andreotti, Maryla Lednicka e Marcello Mascherini. Piccola nota di colore: la Victoria fu la prima nave al mondo a disporre di bagni privati in tutti gli alloggi di prima classe, completi di bidet (le navi inglesi difettavano molto da questo punto di vista).

Victoria

Gli hotel di Venezia e del Lido si animarono, i grandi maharaja chiacchieravano amabilmente con le lady dell’alta società inglese, l’alta finanza andava a braccetto con l’alta aristocrazia e le ereditiere americane passavano i giorni fra i caffè, la spiaggia ed i salotti dei palazzi nobiliari, i cui portoni si erano magicamente spalancati di fronte a tanta bellezza e ricchezza.

Da lì a poco il neonato Festival del Cinema avrebbe attirano in laguna le grandi star hollywoodiane, ma nel frattempo i grandi nomi del cinema muto europeo ed americano avevano già elevato Venezia a “capitale della bellezza”. Nel 1925 Cole Porter prese casa a Cà Rezzonico, organizzando feste dove i Balletti Russi si esibivano per gli ospiti. Negli stessi anni il jazz approdò al Lido, con le orchestre americane che suonavano di notte al Hotel des Bains o al Hotel Excelsior, e di giorno sulla spiaggia.  

A Palazzo Venier dei Leoni (attuale sede della Collezione Guggenheim) si era insediata Lady Doris Castlerosse. L’antica ed incompiuta dimora era reduce da due decenni di occupazione da parte di Luisa Casati Stampa, la Divina Marchesa immortalata da D’Annunzio, protagonista assoluta dell’ultimo decennio della Belle Époque veneziana fra feste leggendarie, stravaganze e mecenatismo.

Volendo restare all’altezza di cotanta fama Lady Castlerosse fece della dimora lagunare un raffinato centro internazionale della cultura, un salotto dell’intrigo raffinato e dell’amore libertino: del resto nella sua camera passarono Winston e Rudolph Churchill, rispettivamente padre e figlio, ed il suo motto era “non esistono uomini impotenti, solo donne incompetenti”.  Ma questa è tutta un’altra storia che vi racconterò.  

Fausto Corini

fcorini68@gmail.com

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